Se sapessi, davvero, com'è stato per noi capiresti perché Papà da quel giorno non è più lo stesso.
Se sapessi, davvero, com'è stato per noi capiresti perché la mamma ora è più fragile.
Capiresti perché Tu per me non sei più solo un fratello, ammesso che tu sia mai stato solo un fratello, ammesso che un fratello possa essere "solo un fratello".
Noi non sappiamo cosa dev'essere stato per te quel periodo, quei mesi da malato, malato davvero, noi non lo sappiamo cosa hai provato.
Io non lo so.
Anche su quel l'unica volta che ti sei fatto scappare quella frase: " perché a me?" , Io l'ho capito che non eri forte come volevi farci credere, anche se subito dopo hai aggiunto "meglio a me che alla mamma", ma ormai l'avevi fatta, quella domanda, e l'avevi fatta a me.
E Io e cos'avrei dato per fare a cambio di posto.
A volte lo si dice: vorrei prendermi un po' del tuo dolore. Ma quando poi, quel dolore lo vedi davvero, sulla faccia di chi ami, non ti basterebbe prenderne un po', lo vuoi tutto, quel dolore, vuoi che torni a camminare, a mangiare, a dormire.
Perché cazzo vomiti anche gli antidolorifici?
Perché cazzo non riesci a stare in piedi?
Perché cazzo dormi con gli occhi aperti?
Perché cazzo non mangi?
Nemmeno l'ovetto kinder, nemmeno l'estathe,
Perché non ti danno una medicina? Perché non ti fanno guarire?
No, quello che hai tu non si cura, per quello che hai tu bisogna solo fare trasfusioni e sperare che quel coso che hai al dito, quella sonda, non cambi rumore, che non suoni più forte.
Quel monitor maledetto, quella macchina per la pressione che ti stritolava il braccio, ogni volta.
Se tu sapessi quante volte ti ho guardato dormire, senza sapere cosa dovevo fare, se non stare li a guardarti dormire.
Se tu sapessi che ogni mattina alle 6, quando venivo a dare il cambio a mamma in ospedale, la trovavo un po' più piccola.
Se tu sapessi con quanta ansia aprivo quei pacchetti di figurine, sperando di tenerti impegnato, per un po'.
Quante volte é vibrato il telefono nella mia tasca, mentre ti aiutavo a vestirti, o a lavarti.
Quante volte ho lasciato il telefono suonare a vuoto, perché chiunque fosse a me non importava di niente, tranne che di te.
Sono arrivata a febbraio, da te, mentre tu eri in ospedale ed io in albergo ho dovuto comprarmi scarpe primaverili e vestiti leggeri.
É cambiata la stagione mentre aspettavamo che tu tornassi a correre.
In quei giorni, che come sei stato tu non lo capiremo mai, e quello che abbiamo passato ci ha rincorso negli incubi per troppe notti, l'unico che mi faceva ridere comunque eri tu.
ricordo le poltrone della sala d'aspetto, il suono del campanello per le infermiere e la maglia con il disegno dell'uovo fritto che ti mettevi, perché tu il pigiama no e poi no.
Tu non lo sai, ma quando sono tornata a Roma, alla mia vita, la prima sera ho parlato con papà al telefono e prima di salutarmi mi ha detto: "mi manchi bimba".
Eravamo stati insieme per mesi, a Torino, ero via da poche ore, ma gli ero mancata, tutto il tempo, come se non fossimo stati insieme ogni giorno, perchè ogni giorno avevamo vissuto per te.
Quella notte ho pianto per quella frase e per ogni singolo minuto dei mesi che avevamo vissuto, perché fino a quella notte, per le lacrime, non c'era stato il tempo.
Per fortuna che questa é una di quelle storie che finiscono bene.
É proprio il caso di dirlo, questo, TUTTO É BENE QUEL CHE FINISCE BENE.
io non sarò mai più la stessa, tu nemmeno, ma doveva andare così.
...E per quanto sia faticoso abbandonare la strada già segnata ed apparentemente più sicura, scopre che è possibile trovare nuove vie, e che ci vogliono sia il sole sia la pioggia per fare un arcobaleno.
Saper sognare è un dono, ma il sogno può diventare una gabbia dorata se per realizzarlo si accettano così tanti compromessi da perdere di vista la felicità. Perché é giusto credere nelle favole. L'importante è saper accettare che la nostra potrebbe essere diversa da quella che abbiamo sempre immaginato.
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